Fame

La vidi in piedi dove l’orlo della collina sfiorava le ombre del cielo. E teneva un cuore, divorandoselo. La sua figura lavorata come di argilla contro la luce calante del pomeriggio. E continuai ad osservarla, incapace di fare altrimenti. Fui sotto il suo sguardo e prima che potessi allontanarmi verso il villaggio la vidi pulirsi le mani lucide di sangue sul grembiule e ritirarsi nella vecchia casa.  

Corsi finché l’aria iniziò a tagliarmi la gola con ogni respiro, perché la strada mi pareva lunga e faticosa, nonostante discendessi la collina. Sentivo sapore di sangue in bocca come se fossi stato io a divorare quel cuore, il sangue denso mi colava dalle labbra. Poi fui trattenuto: Don Pietro mi fu davanti, fermando la mia pazza corsa e mi afferrò per le spalle prima che scivolassi nel fango della strada. 

“Roberto, nemmeno scappando dal diavolo si corre così forte.”

Un brivido violento, improvviso mi percosse, muovendo anche il parroco che mi teneva ancora per le spalle. La sua mano si avvicinò al mio viso: “Scotti” disse, ma sapevo che non era febbre, solo la lunga, faticosa corsa giù per la collina. Con la manica Don Pietro mi pulì la saliva che mi era colata dalla bocca. Anche le mie labbra scottavano e fui quasi sopraffatto dall’impulso di nasconderle dalla sua vista. 

“Cosa è successo, Roberto?”

Mi ero aggrappato ai suoi avambracci per non scappare: “Devo confessare” singhiozzai.  

Quando le mie ginocchia batterono il legno del confessionale il dolore mi salì lungo le gambe, la schiena, fino alla testa. Fecimo entrambe il segno della croce. Amen. Don Pietro seguì il percorso della mia mano con lo sguardo.

“Il Signore sia nel tuo cuore, perché tu possa pentirti confessare umilmente i tuoi peccati. Parlami, figlio mio.”

Caddi in avanti, lasciando che la mia fronte sbattesse violentemente sulla grata che ci separava e lì, labbra bollenti contro il metallo, piansi: “L’ho vista. E divorava un cuore lucido di sangue, come se l’avesse appena strappato da un petto.”

“Chi? Chi hai visto?”

L’umidità della chiesa mi riempiva la gola come acqua, facevo fatica a parlare.

“Una—una delle tre. In cima alla collina—” dove il cielo schiaccia la terra sotto di sé e solo le sorelle sembrano riuscire ad innalzarsi contro d’esso. 

“Il cuore di un uomo, di una bestia? Hai visto qualcun altro?”

Scossi la testa mentre le lacrime mi offuscavano la vista e mi portai una mano al petto: “Non lo so, non lo so.”

Il parroco emise un sospiro profondo e disse: “Basta con queste diavolerie, cuore di bestia o uomo che sia.”

Ma stavo già cadendo e l’ultima cosa che sentii prima che fossi graziato con l’oscurità dell'incoscienza fu: “Quand’è l’ultima volta che hai mangiato?”

Fui svegliato da un intenso odore di cavolo e il vapore della brodaglia che qualcuno portava verso la mia bocca si era attaccato al mio viso, appannando la mia vista. Quando riuscii ad aprire abbastanza gli occhi trovai Matilda, la moglie di Don Pietro con cucchiaio e ciotola fumante in mano.

“Zuppa di cavolo per scaldarti e riprendere un po’ di energie. Mi dispiace, ma non posso permettermi di darti altro: ho cinque bocche da sfamare, inclusa la mia.”

“Grazie.”

Lasciai che la brodaglia mi scorresse giù per la gola, la sensazione aveva la stranezza di un ricordo lontano e ricordai anche altre cose: “E lei?”

Matilda appoggiò la ciotola e il cucchiaio sul tavolo vicino e mi osservò  con i suoi occhi scuri che infossati fra zigomi e sopracciglia erano neri come carbone. 

“Chi?”

Portai le punte delle dita alle mie labbra, Matilda doveva avermi bruciato per sbaglio con la zuppa mentre ero incosciente.  

“Le tre sorelle sulla collina” insistetti con mani tremanti.

La fame è crudele nel modo in cui ti ruba tutte le energie. 

Non ottenni risposta e il tremore si impossessò di me man mano. Il calore del brodo mi irradiò tutto il corpo d’improvviso e buttai a terra la coperta che mi era stata messa addosso. Una luce troppo calda per la grigia disperazione che aveva avvolto il villaggio durante l’inverno giungeva dalla finestra. Mi alzai dalla panca barcollando.

“Roberto, stenditi. Sei esausto.”

Le fiamme divoravano la vecchia casa sulla collina e l’oscurità del cielo. Percepivo il loro bruciore attraverso il vetro della finestra e vi ci appoggiai le labbra, il naso, la fronte aggrappandomi al muro per non cadere. 

Sentii il gemito che mi dilaniava la gola solo quando Matilda mi prese per le spalle per tirarmi via dalla finestra.

Mi buttai verso la porta della stanza, ma lei mi trattenne appoggiandoci la schiena.

“Roberto, stenditi” ripeté.

Scossi il capo e poi tutto il corpo: “No, no. Lasciami andare!”

Matilda si coprì la bocca con la mano con un singhiozzo. Cercai di spostarla dalla porta.

“No, no. Lasciami andare!” echeggiò lei, “Roberto, per favore, non puoi andare.”

Ero sordo a tutto fuorché allo scricchiolio delle fiamme, lontane, lontane, in cima alla collina. Finalmente riuscii ad uscire e non sentii Matilda seguirmi giù per le scale. Solo quando trovai l’entrata principale chiusa a chiave e cercai inutilmente di andarmene attraverso la legnaia sul retro, udii il lucchetto scricchiolare alle mie spalle. E fui in trappola. Strattonai prima la maniglia della porta che mi separava dal cortile, ma nessuno voleva rischiava venire derubato in questo freddo infernale; poi battei i palmi sulla porta che era appena stata chiusa alle mie spalle. Piansi. Pianse anche lei.

“Me l’ha detto Pietro. Me l’ha detto che potevi essere sotto la sua influenza. Ma ora basta. Ora devi resistere, Roberto, e domani tutto questo ti sembrerà solo un terribile sogno. Lei non potrà farti più nulla.”

Mi artigliai il petto, le labbra, morsi le mie dita finché non sentii il sangue riempirmi la bocca e colarmi lungo il mento mescolandosi con la saliva. Udivo ancora il boato delle fiamme. O forse ero solo io a bruciare. 

Lei arrivò quando la notte aveva raffreddato l’aria infuocata. Dopo l’inverno lavorata, scavata, eppure sinuosa, come di argilla. Entrò nella legnaia con uno schiocco di legno spezzato e mi osservò a terra fra la polvere e il mio sangue.

“Abbiamo resistito così a lungo, ma ora… Siamo scappate, è rimasta solo cenere.”

Le lacrime mi colarono in gola, soffocandomi, e lei mise una mano in tasca ed eccola davanti a me di nuovo con il cuore in mano. E lo morse e le sue labbra divennero lucide e scarlatte. Poi si avvicinò, chinandosi allungò il cuore verso il mio viso.

“Una rapa rossa, Roberto. Le ultime cresciute quest’inverno nel mio orto. Quando mi hai visto questa mattina avevo così tanta fame. Ho messo la mano nella terra e l’ho mangiata lì, subito. Eppure l’avrei condivisa con te, se me l’avessi chiesto. Ma sei scappato, codardo. E ora devo fuggire anche io con le mie sorelle.”

Allungai la mano per prendere il cibo offerto.

“Cora.” 

Ma era già dovuta scappare. 

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