Le bestie
Conosciamo a memoria tutte le strade
che possiamo conoscere. Solo delle bestie
non sappiamo la via che esse prendono
nei boschi che ci circondano
danzano gli insetti posseduti dal vento
spinti s’innalzano uccelli dalle fronde
cadono petali dai boccioli di primavera
profumano i prati, la terra, l’aria.
Tutto ciò non sappiamo.
Sappiamo la strada fino al pozzo
da casa fino al mercato.
Sappiamo la strada fino ai templi
da casa fino alla casa accanto.
Sappiamo che non siamo
come le bestie là fuori
che scelgono un nuovo sentiero
con ogni balzo danzante.
Il peso degli stessi passi
tutte sulla stessa via ogni giorno
giorno dopo giorno ci appesantisce,
ci tira, ci preme in basso,
finché non rimaniamo a terra
e diventiamo polvere continuando
a raccogliere le orme delle altre
che devono continuare a camminare
sempre sulla stessa strada a passi
pesanti ancora per un po’. Poi polvere.
Non sappiamo cosa ci sveglia
la mattina l’aria è impregnata
la rugiada ha trattenuto della notte
tutti i versi, tutti i profumi dei boschi.
Quando il sole viene tirato in cielo
e il suo fuoco discende lentamente su Tebe,
bruciamo infiammate e seguiamo le ombre
risucchiate dai boschi in danze gioiose.
Conosciamo e riconosciamo la voce
sua, nostra, si mescola ai nostri cori
piacevole come la prima dolce Bacca
dell’estate i nostri canti sono pieni,
vuote e lontane le grida del re.
Perse fra il mormorio delle api
alti fili freschi d’erba frusciano
scorrono segrete sorgenti fra i sassi
ondeggiano olmi quando Notte scende
e danziamo danziamo ancora fra le sue braccia
la stanchezza non ci raggiunge mai.
Insaziabili di nuovi prati su cui ballare,
nuovi alberi con cui fronde cantare
nuovi ruscelli in cui lavare via la polvere
e poi danzare danzare danzare.
Siamo affamate come bestie
che dopo una siccità ritrovano
acqua e preda nei boschi,
lecchiamo come giovani lupe
latte dolce da mammelle di pietra
sgorga vino rosso sangue.
Non abbiamo più motivo di temere
la fame, ora che troviamo Bacche
dolci lungo ogni nuovo sentiero,
ma siamo state affamate a lungo
e come lupe divoriamo tutto
ciò che riusciamo a mettere sotto i denti
cacciamo in un branco ghiotto,
a passi leggeri rincorriamo
una mandria di vacche facilmente
laceriamo la carne e il sangue scorre
rosso come vino ci tinge le labbra.
Ci dimentichiamo le forme dei nostri
corpi: mani e piedi come zampe,
unghie sporche come artigli,
ciocche di capelli come pelo
mosse al vento piene di fiori e foglie.
Danziamo e combattiamo come pari
con le bestie dei boschi di Citerone
in movimenti inaspettati e selvaggi
che erompono dai nostri petti
come un fiume trattenuto
troppo a lungo dietro ad una diga.
“Agave, Agave!” ringhiano le mie compagne
hanno trovato una bestia in agguato
fra cespugli di Bacche ci osservava.
Ha pupille enormi come un leone
pronto a balzare sulla preda,
boccoli lunghi nascondono il suo viso,
ma sotto la pellaccia profumata
fatta di preziosi abiti ariosi,
riconosco l’odore ferroso della lancia,
il sudore prodotto dalla rabbia
nelle aride strade di Tebe
alle quali ci vorrebbe far tornare.
Azzanno la bestia per prima
feroce e spietata affondo i miei artigli
fanno sgorgare il sangue dalla pelle
che lui avrebbe voluto vedere
scorrere dai nostri corpi,
piantate su lance e spade.
Porto piantata la sua testa
su un tirso come una Bacca
lungo quelle vecchie aride strade
di Tebe, le mie compagne cantano
già esaltate al pensiero di dopo
poter tornare alle vie sconosciute
a danzare nei boschi di Citerone.
“Agave, Agave!” piange Cadmo
chiede che orribile dono porto
dalla foresta, osservo la testa di Penteo
mio figlio, il re, con occhi ancora pieni
del nostro immaginario sangue
e rispondo: “Una bestia.”
Commenti
Posta un commento