Scarabei

 È il silenzio in contrasto con il rumore dei miei sogni a svegliarmi. Nel sonno ero già lì, ero arrivata e la città strillava tutt’intorno a me con il suo quotidiano rombo di vita. Poi ho aperto gli occhi ed ora sospiro sollevata, c’è ancora silenzio intorno a me, si sentono solo i bisbiglii del vento e della polvere impegnati nella loro eterna danza.

Stando attenta a non fare rumore mi siedo sul mio materasso, il lenzuolo che mi avvolgo intorno alle spalle è un velo di tristezza. È tutta la vita che sento ed osservo la sabbia sottile che si alza in aria e gira, gira, gira in eleganti spirali; pensare che fra un paio d’ore già non avrò più modo di godere di questo piccolo spettacolo quotidiano mi rattrista. 

Sono quasi gelosa, vorrei potermi smemorare anch’io in un’eterna danza spensierata come vento e polvere che continueranno a volteggiare qui per sempre, non hanno bisogno di nient'altro. Noi però siamo persone, ed abbiamo bisogno di vivere per poter ballare, di acqua e cibo per poter vivere. Non vorrei mai andarmene da qui, ma la nostra casa sta diventando pian piano il regno della sabbia ed un vento leggero ci sta dolcemente spazzando via.

Infilo i piedi nei sandali, la pelle delle suole è ancora fredda di notte. Vorrei poter stendermi nuovamente e dormire un altro po’, ma tornerei a sognare il rumore della città che nel giro di qualche ora sentirò dal vivo, quindi tanto vale godermi gli ultimi attimi di questo meraviglioso silenzio. 

Il Cairo galleggia all’orizzonte come un’enorme macchia di olio nero. Ho posato lo sguardo su quel panorama ogni giorno, eppure oggi, per la prima volta, mi pare di guardare il buio fondo di un pozzo e sono proprio sul bordo, sto per precipitarci dentro. 

Sono nata e cresciuta al margine fra la capitale ed il deserto e mi è sempre piaciuto volgere lo sguardo da una parte come dall’altra. Giorno dopo giorno ho guardato il sole sorgere da eterne dune di sabbia e calare sul formicaio della città che lentamente smetteva di brulicare con le prime ore della notte. Ora però che sto per spingermi definitivamente verso ovest, Il Cairo mi pare un’enorme voragine pronta ad inghiottirmi.                    

Non capisco bene se il tempo si sia fermato o sia accelerato improvvisamente, comunque ad un certo punto calde mani di deserto mi toccano le spalle e lo sguardo del mio baba si affianca al mio.

“Sta arrivando” mi dice ed io annuisco. Lí al margine del deserto si vede tutto, qualunque cosa si avvicini assomiglia inizialmente a piccoli granelli di sabbia colorata che pian piano prendono forma. Il fuori strada sale borbottando le dune e porta con sé il rumore della città ed io volgo lo sguardo dall’altra parte, a est, verso il deserto, sperando di prolungare anche solo un attimo il silenzio di casa.

Mio cugino Aadil si è offerto di darci un passaggio con il suo macchinone. Ci saluta con un rumoroso “Sabah El Kheir”, ma è l’unico ad augurare un buongiorno con tanta energia. 

In una lenta processione carichiamo tutto ciò che ci possa servire in città, il resto lo lasciamo al regno della sabbia, sarà in buone mani.

Faccio gli ultimi passi verso il fuoristrada camminando all’indietro, non ho ancora trovato il coraggio di staccarmi dal deserto. Sussulto quando baba mi blocca prima che io possa andare a sbattere, improvvisamente le sue mani mi paiono ruvide e secche.

Partiamo e con quel rombo di motore la caduta inizia, sfrecciamo fra le dune verso il nero fondo del pozzo. Ci stacchiamo dal margine del mondo, ora si va al centro, addio sabbia e vento, addio paesaggi lontani. 

Poco dopo il sole si innalza e prende possesso della terra. Oggi mi sta antipatico l’eterno sole, che spietato ci ruba ogni goccia d’acqua e ci caccia di casa.

Improvvisamente qualcosa di luccicante mi abbaglia, mi copro gli occhi infastidita. Baba non sembra aver notato nulla, sta seduto immobile sul sedile al mio fianco, perso negli infiniti ricordi della vita che ha appena lasciato alle spalle. Mi volgo verso di lui, forse per consolarlo, forse per chiedergli di raccontarmi alcune di quelle tante memorie, rimango però nuovamente accecata e questa volta noto qualcosa di strano: il luccichio sembra venire proprio da mio padre. Stringo gli occhi e noto che la sua pelle è ricoperta da uno strano bagliore verdastro che con il sole diventa quasi blu, il suo viso è bizzarramente liscio e rigido, come il guscio di un uovo. 

Giro la testa dall’altra parte e chiedo ad Aadil di aprire il finestrino per poter sentire un po’ di aria sulla mia pelle. Il Cairo è un’enorme pozza di olio bollente e man mano che ci avviciniamo il caldo si fa sentire, ho sete. Mi impongo di guardare fuori, di distrarmi guardando le mie amate dune, ma per qualche motivo mi paiono irriconoscibili, non riesco più a distinguerne le forme. È come se stessi osservando un quadro troppo da vicino, senza comprenderne il soggetto, mi pare di vedere un singolo granello di sabbia alla volta.

La cosa mi dà fastidio, non riesco a stare ferma, il sedile è scomodo e madido di sudore. Dopo appena qualche attimo non riesco più a trattenermi e torno a guardare il mio baba, tutto sembra così straniante. Questa volta mio padre si accorge di me e si volge a sua volta nella mia direzione. La mia bocca si apre in un grido quando a fissarmi non è lo sguardo di caffè che conosco benissimo, bensì un paio di puntini tondi, neri, e lucidi: gli occhi inespressivi di un insetto.

Habibti, ma cosa c’è?” mi chiede e l’unica cosa che mi fa capire che è preoccupato è il suo tono di voce, il suo sguardo continua ad essere un paio di occhietti neri.

“Niente” scandisco, la mia voce è il Nilo in secca, “Ho sete, mi gira la testa” cerco di spiegare. Baba sorride, le sue labbra sono blu, aride e lisce.

“Tieni” mi dice porgendomi dell’acqua. Io osservo terrorizzata le sue mani: delle zampette ruvide e sottili si stringono intorno alla bottiglietta di plastica.

“Bevi qualcosa, ti sentirai meglio” mi ripete mio padre e la sua voce mi pare stranamente ronzante. Non posso fare diversamente, allungo le mani verso la bottiglia e mi vergogno di essere tanto disgustata dal mio baba

Bevo un sorso d’acqua, il mondo si sta trasformando in una fata morgana, man mano che ci avviciniamo al Cairo le immagini sembrano deformarsi sempre di più, vorrei poter scappare, correre a casa al margine fra deserto e città dove si può osservare tutto nitidamente all’orizzonte. Cerco di rilassarmi: ho visto la capitale ogni giorno per anni, mi rammento, non c’è motivo per cui dovrebbe improvvisamente apparire così minacciosa. Eppure anche un leopardo in lontananza può sembrare un innocuo gattino.   

Siamo oltre la metà del percorso, tento di concentrarmi sul mio respiro, mantenerlo tranquillo, ma il sole è ormai padrone anche dell’aria rendendola pesante, quasi tangibile. Un vociare insistente mi riempie le orecchie, ecco l’eterno brusio della città, c’è una voce che spicca però: è quella di Aadil. Guardo fuori dal finestrino e non vedo case, o palazzi, o persone responsabili dell’insistente vociare, poi mi rendo conto che ciò che sento non sono voci, ma un forte ronzio. 

Urlerei di nuovo, ma siamo quasi al centro del pozzo e qui fa buio, nulla si distingue con nitidezza, nulla può assicurare che ciò che si vede non sia in realtà una fantasia nel buio teatro della propria mente. E la scena che ho davanti sembra essere stata strappata direttamente dal copione di un bizzarro e spaventoso spettacolo. 

Mio cugino chiacchiera allegramente con il mio baba lanciandogli di tanto in tanto qualche occhiata benevola dallo specchietto retrovisore, mio padre però non risponde: ronza. Per qualche istante mi chiedo semi lucidamente come faccia Aadil a non rendersene conto, come faccia a non vedere un enorme scarabeo seduto nel retro del suo fuoristrada, poi la fata morgana si spezza in mille frammenti e mille altre schegge e io mi schiaccio contro la portiera della macchina.

“Fermi! Fermi! Devo scendere!”

Il mio grido sovrasta gli altri rumori come una tempesta di sabbia e per qualche istante  torna finalmente il silenzio.                     

Accostiamo ad un distributore di benzina, Aadil mi chiede se sia tutto a posto, mio baba ronza insistentemente, ed io vorrei scappare, correre lontano, scavalcare duna dopo duna e tornare a casa anche solo per un attimo per districare il doloroso nodo di pensieri, preoccupazioni, paure che ho in testa, per vedere il quadro completo all’orizzonte.

Invece l’unica fuga che mi resta è il bagno. Apro il rubinetto e lascio scorrere l’acqua fredda sui miei polsi ed avambracci, poi mi porto le mani bagnate agli occhi nel tentativo di ritrovare un po’ di lucidità, ma mi blocco lì. La pelle del mio viso è liscia sotto le mie dita, corazzata, secca. Non oso muovermi. Rimango ferma con le mani a coprirmi gli occhi e con il rubinetto aperto. Respiro. È tutto solo nella mia mente, mi prometto.

Lascio che le mie braccia scivolino lungo il corpo come acqua. Respiro. 

Poi apro gli occhi e vedo con orrore che l’immagine nello specchio è quella di un grande scarabeo con una corazza scintillante fra il verde ed il blu, i miei occhi sono due puntini neri. Ho lasciato anche il mio corpo al confine fra città e deserto, ho lasciato la mia persona alla sabbia ed al vento.

Vorrei piangere, ma gli scarabei hanno le lacrime? Chiudo il rubinetto del lavandino, le mie zampette scivolano sul metallo liscio. Non so cosa fare, come posso tornare là fuori avendo improvvisamente assunto le sembianze di un insetto? Aadil e il mio baba mi riconosceranno? Poi mi ricordo che mio cugino non sembrava aver notato il mutamento di mio padre e che forse mi ero già trasformata in scarabeo dall’inizio del viaggio senza accorgermene. 

Per la prima volta nella mia vita mi chiedo: chi sono? È una domanda che fino a questo momento poteva rimanere senza risposta, o per lo meno la risposta era talmente elementare da sembrare quasi ovvia: da una parte c’era la città, dall’altra il deserto, e in mezzo c’ero io, senza essere né l'uno né l'altro. È facile essere umani dove umani non ci sono. 

Esco dal bagno e ritorno alla macchina in silenzio, ho paura di emettere ronzii. Nessuno sembra accorgersi di nulla e così ripartiamo, la nostra caduta continua, ma ora sento che il fondo del pozzo è prossimo, sento il rombo del motore echeggiare a contatto con gli edifici del Cairo ormai vicino.

Eccoci, penso, ecco gli scarabei del deserto che arrivano in città. 

Non guardo più fuori, non riesco a distinguere più nulla di familiare, tutto è troppo vicino, troppo grande, mi immagino semplicemente le facce disgustate delle persone quando vedranno due enormi insetti scendere dalla macchina.

Le mie zampette si muovono convulsamente in agitazione quando ci fermiano ed Aadil dichiara ad alta voce: “Arrivati!”

Mi giro verso mio padre, i miei occhietti neri si specchiano nei suoi. 

“Eccoci” ronza ed apre la portiera. Scendo anch’io, pronta a sentire grida spaventate, poi però mi giro e resto paralizzata: sono circondata da scarabei che brulicano tutt’intorno a me in un immenso ronzio. Sono come me ed il mio baba, ci confondiamo gli uni con gli altri. 

Zampetto insieme a tutti mentre scarico i miei bagagli, capisco quel brulicare che vedevo da lontano. Mi sento improvvisamente sollevata e vuota allo stesso tempo, proprio come il leggero guscio verde-bluastro di uno scarabeo.  

Penso alla sabbia e al vento danzanti a casa mia e a quanto ero abituata ad essere diversa da loro come dagli abitanti della capitale. Ora sono arrivata al fondo del pozzo, al centro, il deserto è fuori, qui ci sono solo persone come me. Scarabei come me.


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