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Quiete

  Torniamo dalla città la sera e quando scendiamo dal treno diluvia. Non abbiamo ombrelli con noi e quindi aspettiamo per un po’ sotto la tettoia della stazione ad ascoltare la pioggia. Il professore chiude gli occhi, fronte corrugata, come se stesse cercando di distinguere il ticchettio di ogni singola goccia che tocca a terra.  “Che rumore” commenta dopo un po’, “Non me lo ricordavo così.” Quando l’acqua cessa ci avviamo silenziosamente verso casa, ma non c’è silenzio affatto. Ci sono alcune macchine che ci passano a fianco, uccelli che volano nella fresca umidità della sera e raspano in cerca di vermi fra i cespugli, tonfi di scuroni che sbattono nell’essere riaperti dopo il temporale e le suole delle nostre scarpe che stridono sul marciapiede bagnato.  Nel cortile interno interno, fra il minuscolo appartamento a schiera in cui abito e la casa del professor Testa, ci guardiamo per un po’ in faccia stupiti. In questo giorno incredibile il professore mi stringe la mano e ci mette un a

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